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La notte, il disegno

June 9, 2024

A maggio ha piovuto -quasi- sempre, quasi.

Ora che è giugno si intravede in lontananza un occhio di estate. La pioggia ha esaurito la pazienza di molti, la mia sicuramente.

La pioggia ha fatto bene, benissimo il suo lavoro, ha fatto una cosa preziosa: ha fatto fiorire tutto senza vergogna, come da qualche anno non succedeva più.

Io lo percepisco la notte più che il giorno, questo sbocciare, mentre ritorno a casa. Tutto profuma, anche sulle strade provinciali asfaltate, tutto sa di prato, di robinie, di petali, di buono.

Il profumo che mi accompagna a casa rende la strada del ritorno un momento meditativo, mi interrogo su cosa è stato durante il giorno. Tutte le notti torno a casa tardi perchè ho sempre qualcosa da fare: ho da insegnare oppure da disegnare.

In passato, ho preso troppo alla lettera un professore che, all'università, teneva la cattedra del corso di estetica e che ci ripeteva spesso una frase:

 

"Se qualcuno ti dice che da bambino avrebbe voluto esser un capo stazione e da adulto è diventato capo stazione, tu allora scappa da lui il più lontano possibile."

Mi ricordo ancora il tono, l'enfasi, con cui diceva scappa. Ho preso anche fin troppo alle lettera queste parole ma, d'altronde, a lui, il Giancarlo Majorino, ultra ottantenne, poeta e presidente della Casa della Poesia di Milano, come facevo a non credergli? Questo solo per dire: non ho mai passato molto tempo a preoccuparmi di cosa essere 'da grande'.

C'è stato però un momento in cui ce l'avevo un'idea per il futuro, quando ero alle scuole superiori e il mio desiderio era fare l'insegnante. Succedeva poi che, quegli stessi professori che adoravo, che mi ispiravano e che vedevo come esempi di vita, mi abbiano fatto desistere dall'intraprendere il percorso. "Ma lascia perdere, che è una vita di pedate nel c**o." La frase che mi ripetevano.

Senza più una vera motivazione, ho quindi mollato il colpo, ho continuato a rimestare nell'incertezza del futuro, sono solo andata avanti a disegnare, non sapendo cos'altro fare.

Dunque, dicevo, in queste notti, profumate e meditative, ho realizzato che ora insegno e disegno.

Insegno l'acquerello, alla sera, a degli adulti che hanno voglia di imparare una tecnica che io, alla prima lezione, presento come: la più stronza e più infame di tutte.

I risultati ci sono, decisamente, ma la frustrazione è enorme.

Poco male, cerco di insegnare la costanza e la tenacia dell'allenamento, perchè l'arte è un po' come andare in bici. Anche se, devo dire la verità, sono estremamente esigente (pure un po' stronza, dai).

Acquerelli di Serena e Mascia.

Qui sotto, sempre io, con Mascia, che ha imparato l'arte della reinterpretazione, e gli altri corsisti.

Insegno il disegno, sempre la sera, con l'aiuto della copia dal vero: l'unico vero metodo per imparare, perchè si, tutti possono imparare a disegnare, è un dato di fatto. Ogni volta penso ad una nuova copia, la monto su un tavolino, sistemando il panneggio, vasi di ceramica, teste di gesso (il Giuliano, che non l'ho ribattezzato io così ma è la vera riproduzione della testa del Giuliano de Medici, del Michelangelo. La mia testa preferita, da sempre). Giro per i cavalletti e controllo che le proporzioni siano coerenti, che la griglia di costruzione stia in piedi, che la realtà in due dimensioni sia più bella di quella in tre.

La Tizy si allena nel chiaroscuro della copia con macina caffè, ferri da stiro, tazze e anforette.

 

 

Insegno illustrazione in università, di giorno, una volta alla settimana a Milano. Non sono mai diventata un'illustratrice riconosciuta dalle alte sfere (o meglio, non ho mai visto il mio nome sulla copertina di un libro); cerco di insegnare il modo per appassionarsi all'espressione di sè, ricercarla oltre all'applicazione su un prodotto. Un approccio da artista, più che da designer, ma tant'è. Ci passano più di 15 anni, tra me e miei studenti. Alle volte faccio fatica a ricordarmi di essere dall'altra parte, alla cattedra e, bam, di botto, sento il peso della responsabilità nei loro confronti. Ho in me queste domande, in background: ciò che faccio è giusto? Davvero io gli sto insegnando qualcosa, li sto aiutando a crearsi una nicchia di futuro, che possa essere soddisfacente, che gli possa dare un indizio di felicità?

 

(Che poi, ad essere onestissima, alcune lezioni le imposto in modo che anche io possa mettermi a disegnare. E finisce che loro disegnano me. Mi pare una bella cosa, no?)

I miei studenti di Design della Comunicazione e Fashion Design, AA 23/24.

Durante altre sere, capita che io torni a casa dopo sessioni di disegno dal vero di nudo. Allora non insegno più ma, in mezzo agli altri, disegno anche io.

Ho creato un legame con delle persone che mai avrei potuto pensare e che, stando in posa, si mettono a nudo nel vero senso della parola, si trasformano nell'oggetto del desiderio dei disegnanti. Perdono ogni carattere umano per diventare linee, volumi, plasticità, chiaroscuri. Perchè, se l'unico modo per imparare a disegnare è copiando dal vero, il passaggio successivo per il miglioramento e il mantenimento, è la copia della persona, dal vero. Che si muove, ha una fisicità unica in sè e, da non dimenticare, è un organismo che repira.

I modelli sono trasformati in materiale da disegno, filtrato dagli occhi e dalla mano che, alle volte in un particolare stato di grazia, riesce a rendere maggior giustizia anche a quello che non si vede, l'animo.

 

Da molto non scrivevo su questo blog, forse perchè nel casino generale di quello che succede, dappertutto, non ho mai trovato la necessità di 'produrre' altre parole, intasando le reti e le menti.

Attraversando queste notti profumate e interminabili, passando dai gruppi di allievi alla solitudine dei miei ritorni, ho trovato il bisogno di un momento per ringraziare le persone che sto incontrando sulla via e che, per un motivo o per l'altro, per caso o scelta, si fidano e si affidano a me. Con cui ho il piacere di condividere la pratica dell'arte, che rende ogni cosa più affascinante e priva di scopo, se non quello di esprimere e appagare se stessi, che eleva allo stato di privilegiati, esclusi per un momento dalla banalità della vita quotidiana.